di Sergio Di Giorgi*

Dormo sì, ma forti sogni nello stesso tempo mi tengono sveglio. Dormo, per così dire, accanto a me, mentre devo dibattermi coi sogni…

(Franz Kafka, Diari, 2 ottobre 1911)

“Ero arrivato a Vienna improvvisamente, avevo precorso lettere mie che dovevano ancora raggiungerti…comunque fosse tu eri avvertita e io dovevo incontrarti…Stavo a destra del mio albergo, sull’orlo del marciapiede, e osservavo la tua casa. Era una villa bassa, con davanti, all’altezza del pianterreno, una loggia di pietra, bella, semplice, ad archi tondi. A un tratto fu l’ora della prima colazione, sotto la pioggia era apparecchiata la tavola, da lontano vedevo arrivare tuo marito…”

Sono immagini tratte da un sogno di Franz Kafka,  raccontato in una sua lettera a Mìlena Jesenská, datata 14 giugno 1920, e ripescate da una antologia dei suoi sogni (sparsi tra lettere, diari,  frammenti vari) che avevo divorato tanti anni fa (si intitola infatti “Franz Kafka. Sogni”, a cura di Gaspare Giudice, Sellerio, 1990).

Come confermano tante altre  testimonianze del volume, il grande scrittore praghese nei suoi sogni è assai preciso, elenca molti dettagli, spesso di natura anagrafica e toponomastica (o, come in questo caso, architettonica), e non manca quasi mai di svelarci il luogo e l’ora.  Per converso la sua unica,  inarrivabile opera è quasi sempre immersa in un mondo privo di  riferimenti spazio-temporali.

Vedendo il bellissimo film Corpo e Anima della regista ungherese Ildiko’ Enyedi ho pensato più volte (non sto a dire in quali sequenze e scene, sarebbero comunque libere associazioni personali) a questo (apparente) paradosso della scrittura di Kafka. Chi volesse leggere la mia recensione del film  la trova comunque qua: http://www.cinecriticaweb.it/film/corpo-e-anima/.

Per questo  ho ripreso, dopo tanto tempo, in mano  quel libro, che conferma in vari punti e inconfutabilmente come Franz Kafka usasse le lettere (e dunque anche l’ “intimità” dei sogni che ritroviamo in tante lettere) per corteggiare le donne. Questo, a sua volta, mi ha fatto pensare al protagonista maschile del film che, subito dopo la scoperta di avere lo stesso sogno in comune con la donna misteriosa da poco arrivata nel suo mondo, cerca di sfruttare la circostanza in una maniera diciamo “seduttiva” (in realtà, il gioco si rivelerà assai presto ben più serio…)

Così come avviene tra i film che abbiamo visto e i libri che abbiamo letto (a maggior ragione se i primi sono ispirati ai secondi), i film e i sogni si rimandano e si rincorrono a vicenda, anche a distanza, nello spazio e nel tempo. Sono i  film e i sogni  vissuti in prima persona (e che abbiamo magari rivisto e risognato a lungo), ma anche i film visti dagli altri e i sogni fatti dagli altri,  che risuonano in noi nel loro racconto. Spesso facciamo gli stessi sogni, a volte scopriamo che gli altri fanno i nostri stessi sogni,  ma in ogni caso sono sogni sempre diversi,  come diversi siamo noi stessi (insieme ai nostri sogni, ai nostri film, ai nostri libri) nel tempo. Doppi sogni…

Forse allora il pensiero di  Kafka mi è arrivato dal ricordo confuso e sbiadito di uno dei primi film della regista, Il mio XX secolo, 1988, che vinse la Camara d’or al Festival di Cannes, la storia di due stelle che scendono dal cielo di Budapest e diventano due giovani ragazze gemelle. Una storia che potrei definire, ben consapevole dell’abuso del termine, “kafkiana” (e comunque Wim Wenders aveva fatto scendere un angelo dal cielo sopra Berlino appena un anno prima…).

O, più semplicemente e banalmente, mi aveva influenzato la lettura, quella assai fresca, del pressbook del film, dove si trovano e queste dichiarazioni della regista:

“Ho avuto l’idea del film di colpo: che cosa accadrebbe se un giorno s’incontrasse qualcuno che fa esattamente il tuo stesso sogno? Come si reagirebbe? Si sarebbe al colmo della gioia? Terrorizzati? Lo si troverebbe buffo? O vi si vedrebbe un attacco alla propria vita privata? Sarebbe romantico? Le situazioni che si innestano come degli ingranaggi sono quelle che si addicono meglio al cinema. Situazioni che suscitano domande alle quali si ha davvero voglia di rispondere, che poi sollevano nuove domande… “.
E poi ancora: “Sentivo la necessità di raccontare una storia d’amore passionale e travolgente nel modo meno passionale e spettacolare possibile. Ho letto molta poesia – è il mio rifugio – ed è un poema dell’autrice ungherese Ágnes Nemes Nagy il vero punto di partenza del progetto. Ecco quattro versi di questo poema che mi hanno guidata durante la scrittura della sceneggiatura:

Il cuore, fiamma vacillante,

Il cuore, catturato in spesse nubi di neve,

Eppure, all’interno, dei fiocchi si consumano nel loro volo,

Come le fiamme eterne delle luci dell’alba della città.


Da simili idee e ispirazioni non possono che nascere che film interessanti, memorabili (come le interpretazioni dei due protagonisti di Corpo e Anima). Film che fanno riflettere, discutere, e dalla cui visione scaturiscono ancora altre domande…Film da vedere, film da sognare.

 

Postilla. Forse per “purificarmi” dalle “indigestioni” delle opere di Kafka fatte in gioventù, lo rileggo di rado. Forse sbaglio, chissà. Eppure, di recente, ho letto un bellissimo romanzo-saggio sul suo ultimo anno di vita e sull’ultimo suo amore, Dora Diamant: La meraviglia della vita di  Michael Kumpfmuller (Neri Pozza, 2013). Quella lettura ha rafforzato la mia visione meno “disperata” dello scrittore che già grazie ad alcuni indizi (come quello cui accennavo sopra del corteggiamento attraverso le lettere)  coltivavo rispetto alla mia visione giovanile. In una frase dei Diari, datata 1921, Kafka dice che “lo stupore dell’esistenza è sempre a disposizione di ognuno, in tutta la sua pienezza, anche se rimane nascosto, profondo, invisibile”. In quell’ultimo anno di vita in cui, seppur ormai molto malato, l’amore per Dora gli diede il coraggio di lasciare Praga (e la famiglia) per la Berlino (già profondamente antisemita) del tempo, forse anche Franz Kafka era riuscito a toccare con mano quello stupore che aveva inseguito tanto a lungo e in profondità, dibattendosi nei suoi sogni. E anche questo mi riporta al cinema, e ancora una volta, al film di Ildiko’ Enyedi…

 

*Critico cinematografico, formatore e consulente indipendente. Redattore di “Cinecriticaweb”, rivista on line del Sindacato nazionale critici cinematografici, collabora a festival e rassegne di cinema. Nel campo della formazione degli adulti ha sviluppato specifiche competenze  nell’utilizzo del cinema come risorsa e metodologia per lo sviluppo dei processi di apprendimento. Ha curato (insieme a Dario Forti), il volume collettaneo “Formare con il cinema. Questioni di teoria e di metodo”, Franco Angeli, 2012, pp. 314.

Categorie: Narrazioni

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