Un uomo nell’angolo non parla ma dà voce sommessa all’ultimo sogno. Venti o trenta persone sedute a fiocco di neve e immerse nella penombra ascoltano senza cogliere tutte le parole. Nessuno guarda ma tutti vedono le immagini che la notte ha portato. Il silenzio assorda e avvolge, scandisce il ritmo delle voci, accompagna l’attesa dei sogni che verranno.
Il montaggio sembra libero nella matrice che lo contiene, procede a balzi, fissa scene del film vissute e rivisitate nei sogni di ciascuno, accoglie inquadrature isolate che sfumano in immagini rarefatte e apparentemente prive di nesso.
A volte è difficile starci dentro, quando la logica prende il sopravvento ed entra in un campo che non è il suo; ci si danneggia da sé, cercando la luce si offusca l’immagine che si vorrebbe catturare.
È una grande sfida la danza dei sogni, esperienza perturbante ma liberatoria. Sempre spinta da un lato ad arretrare, a lasciarsi vincere dalla consapevolezza isolata dell’io che separa, discrimina, conosce solo i particolari e vede soltanto ciò che può essere correlato a se stessa[1]; dall’altro lato incoraggiata a proseguire, <<conquistata dal vuoto e dall’infinito senza forma>>[2], dove tutto può ancora essere trovato.
I luoghi dell’immaginario, i luoghi dove “l’anima” può presentarsi, come suggerisce James Hillman, non sono i grandi teatri o i cinema multisala; i nostri luoghi sono innanzitutto una saletta sotterranea dell’ospedale generale dove lavoro, l’aula magna di un liceo di una cittadina del nord, la biblioteca di un piccolo paese, un teatrino su un’isola del sud e un cinema “virtuoso” della metropoli lombarda.
È in questi luoghi che abbiamo rivissuto e rivisitato i “sogni” di Alina Marazzi, Julian Schnabel, Mike Nichols, Giorgio Diritti e tanti altri. Non ci appartenevano e li abbiamo fatti nostri; rimettendoli in scena li abbiamo reinterpretati ma soprattutto riscritti, nella cornice che di volta in volta ci ha ospitato.
Ma forse mi sbaglio: sono i sogni, che ci hanno accolto, ad aver tessuto nuove trame per le nostre vite.
Tutti questi film hanno qualcosa in comune, trattano tutti di persone che sono in viaggio e che si trovano esposte a situazioni sconosciute. Tutti questi film hanno a che fare inoltre con la percezione e con persone costrette a guardare alle cose in maniera diversa.[3]
(da “Occhi del sogno”, Fioriti editore)
[1] Aniela Jaffé (a cura di), Ricordi, sogni, riflessioni di C.G.Jung, BUR, Milano 1997, p.479.
[2] Titolo di una conferenza di Gordon W. Lawrence (Won from the void and formless infinite) che riprende un verso dal Paradise Lost di John Milton. (Gordon W. Lawrence 2001, p.31 e 64).
[3] Wim Wenders in: Russo Maurizio, Wim Wenders. Percezione visiva e conoscenza, Le Mani, Genova 1997, p.111-112.
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