di Elena Nascimbene
Alla mattina, prima di andare al lavoro, Elisa Esposito, che fatica tutto il giorno come donna delle pulizie in un centro spaziale, si immerge nella vasca da bagno e con aria sognante si dà piacere solitario, come un rito per affrontare la giornata.
Ha un’aria sognante, appunto: chissà cosa pensa, chissà cosa sogna. Non è bella, anzi. E’ muta. E’ cresciuta in un orfanatrofio. Non sembra che abbia avuto esperienza d’amore. Però ha due amici che la proteggono, un vicino di casa con il quale guarda la tv e sogna a occhi aperti e una collega di colore, che l’aspetta sempre al momento di timbrare il cartellino.
Chi ha visto il film “La forma dell’acqua” di Guillermo del Toro ha vissuto con Elisa l’incontro d’amore con l’Uomo anfibio, tenuto prigioniero in un contenitore d’acqua salata in una stanza segreta del laboratorio.
E’ un incontro dolcissimo che inizia con la condivisione di un uovo sodo che Elisa si porta da casa, il suo pranzo al lavoro.
Noi spettatori amanti del cinema e dei sogni ci troviamo subito a nostro agio in questa atmosfera da fiaba. Ovviamente la storia la conosciamo già. Come scampare, infatti, all’informazione preventiva che ci bombarda dai media e che ci mette nella situazione di doverlo ritrovare magicamente lo stupore nella sala cinematografica, quando si spengono le luci?
Eppure, è attraverso lo stupore e l’incantamento di Elisa che anche noi piano piano ci facciamo prendere dal sogno. E non importa se l’amore arriva attraverso una creatura che ha le sembianze di un pesce. E’ comunque un essere che è capace di amare, forse un dio capace di fare miracoli.
E il miracolo più grande è proprio la capacità di amare, che fa superare tutte le mancanze. E’ Elisa che ce lo fa comprendere quando dice al suo amico “a lui non importa se sono muta, lui è contento di vedermi!”
Un amore davvero sorprendente, che arriva dopo averlo a lungo sognato nella vasca da bagno.